Il lascito e i tappeti per Santa Maria dei Servi di Aldobrando Alfani e la cerchia di Dante

Nell’ottobre del 1281 Aldebrando (o Ildebrando) del fu Brunetto degli Alfani della parrocchia di San Michele Visdomini di Firenze, sano di mente ma “languens corpore”, fece testamento e, in più di una ventina di capoversi e di “Item”, dispose riguardo ai familiari e agli enti religiosi.
A sua sorella Vermiglia moglie di Simone di Raniero di Rustico degli Abati lasciò l’usufrutto vita natural durante di un podere a Gignoro (Coverciano) e a Bilia sua nipote, figlia di Vermiglia, e ai figli di lei volle far dare “duodecim centinaiam” di fiorini d’argento da poter richiedere alla società degli Alfani o da far pervenire “ex lucro ve emolumentum”.
A Fia sorella naturale (illegittima) legò annualmente e per tutto il tempo della sua vita un moggio di grano, un congio di vino piccolo e la carne di mezzo porco.
Quindi lasciò varie somme alla chiesa maggiore di Firenze “pro restauratione decimarum et pro laborerio ecclesie”, ai frati Predicatori di Santa Maria Novella, alla chiesa di San Michele Visdomini, ai Servi di Santa Maria di Cafaggio (10 lire), a quelli dei Sacchi, ai Minori di Santa Croce, alla chiesa di San Martino a Mensola “pro restauratione decimarum et fabrica dicte ecclesie”, alle donne recluse di Gignoro e di Maiano, all’ospedale di San Gallo, alle donne del monastero di Monticelli e a quelle di Ripoli.
Ai frati di Santa Maria Novella lasciò anche “unum tappetum saracineschum et duos celones”, ai frati Minori un altro tappeto e due celoni e ai nostri di Santa Maria dei Servi “duos tappetos pintos”. Il tappeto saracinesco doveva essere giunto in famiglia dalle transazioni fatte con le terre d’oriente. I celoni erano panni di più colori, che venivano stesi sulle tavole o sui letti, oppure un altro tipo di tappeto tessuto a strisce (v. il Dizionario UTET).
Dopo questi lasciti, Aldobrandino dispose su 80 lire e sulla metà di 210 lire per Forese e Alfano figli del fu Gianni del Forese debitori verso di lui. Forese fu il padre di Gianni degli Alfani, poeta stilnovista della cerchia di Dante.
Aldobrandino quindi liberò e assolse dai debiti, a prescindere da qualunque causa fossero stati contratti, anche Scolario degli Abati – che è ritenuto il padre di Durante, genitore di Bella madre del Poeta (... oppure nel caso del testamento fu un omonimo discendente).
Nei successivi capoversi l’Alfani legò 40 soldi a ogni chiesa fiorentina per le messe da cantare per l’anima sua, 25 lire alla figlia di dom. Spinello dei Gianfigliazzi (famiglia magnatizia di Firenze), 10 lire con più i suoi panni “de dorso”, cioè la tunica, la guarnacca e un “tabandum”, al servitore Peretto e 5 lire a Giunta del Saracino.
Volle anche risarcire, a chi le aveva subite, “omnes usura et “male ablata” (le somme estorte con l’usura o illegalmente).
Dispose poi di far seppellire il suo corpo presso la chiesa di Santa Maria Novella e nominò fidecommissari ed eredi “equaliter” Lotto, che era un canonico († 1285), e Lapo suoi fratelli figli di Brunetto e Giacomino o Iacopino di Vermiglio degli Alfani, anch’egli banchiere.
Il testamento fu rogato nella casa di Lotto fuori del “muro” della città al Cafaggio in luogo detto Fornello. Notaio fu Bonaccorso di Latino dalla Lastra.

Nel 1284 Aldobrandino fece scrivere dal notaio Maco da Montereggi figlio di Migliore un altro testamento, diverso e inusuale rispetto al primo.
Istituì suoi eredi i figli maschi che sarebbero nati da sua moglie Mina (non citata nell’altro atto) e lasciò a Giovanna figlia di Mina 1500 lire e la disponibilità delle case e del bel giardino di famiglia a Cafaggio, i cui confini sono così determinati: a primo e secondo via, a terzo Migliore di Guadagno e a quarto gli eredi di Gianni di Mazzocco. Fino a oggi la casa e le pertinenze hanno dato il nome alla centrale e lunga via degli Alfani a Firenze.
Aldobrandino ricordò nel secondo testamento anche gli enti religiosi, aumentando per molti la somma (ai Servi di Maria 25 lire), ma senza i tappeti e i celoni, e aggiunse al numero delle suore legatarie le “Repentite”, quelle “de muris”, del Boldrone, “de Romandiola”, di San Donato. Dette qualcos’altro in generale a tutti enti religiosi, ai poveri, a Chiara sua serva, a Nocca di Pacetto di Vermiglio e ad altri.
Riaffermò infine che se non avesse avuto figli maschi i suoi eredi sarebbero stati – come nel precedente atto – i fratelli Lotto (che era detto arcidiacono del duomo) e Lapo e Giacomino di Vermiglio.
Se invece dalla moglie avesse avuto dei figli e delle figlie, sarebbero stati loro tutori la stessa Mina, gli eredi suddetti e Vieri, Lippo e Naddo di Gherardino dei Cerchi.
Questa seconda pergamena fu scritta nel refettorio di Santa Maria dei Servi presenti sei frati – Iacobo priore, Albertino, Gerardo, Migliore, Iacobo dal Mugello e Andrea –, prete Aghinetto cappellano di San Michele Visdomini e il giudice Bonaccorso degli Elisei “de Arcu” che sottoscrisse in calce all’atto. Bonaccorso era stato uno dei ghibellini fuoriusciti in esilio a Pisa ed era tornato a Firenze dopo la pace del cardinal Latino (1280). La sua famiglia fu imparentata con gli Alighieri per mezzo di Eliseo fratello di Cacciaguida.

Gli Alfani banchieri ebbero filiali in Grecia, nell’impero bizantino, oltre che in Germania e nell’Europa centrale, e prestarono a papi e imperatori. Furono sempre di fede guelfa e dopo Montaperti e il dominio dei ghibellini (1260-1266) soffrirono l’esilio. Nel 1302 Vermiglio e Gianni furono condannati come guelfi bianchi e, al pari di Dante, lasciarono Firenze.

Paola Ircani Menichini, 16 giugno 2023.
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